La sacerdotessa viveva nella piana delle vergini, in una caverna a mezza costa a sud-est della macchia solitaria del Montecchio.
Per la sua pelle nivea e trasparente come alabastro, la veste di lino orlata di ricami candida come neve, quelli che avevano la ventura d’incontrarla la chiamavano Bianca. Teneva i lunghi capelli negri e lisci acconciati in un unica treccia che le ricadeva sul petto, il taglio degli occhi leggermente obliquo ricordava le donne dell’antica Grecia con un velo fiero e tragico sul volto.
Misteriosa, solitaria, inquietante figura, difficile d’avvicinare, incuteva timore, rispetto e soggezione. Bianca era una creatura bellissima, una Figlia della Luna e come le sue sorelle era tabù. Selvatica, scontrosa, d’umore mutevole, se triste o allegra raccontava solo al vento i suoi pensieri.
Certe sere, vestita di veli, aspettava la Luna seduta sulle rocce e mentre intrecciava i lunghi capelli, cantava come una sirena lasciando andare nell’aria l’eco struggente delle sue melodie d’amore. Cantava così bene che nella lunga curva del borgo tutti ascoltavano tra paura ed estasi le risonanze di quella voce che penetrava nel profondo dell’anima.
Era la sera della notte di San Giovanni, notte magica in cui le ragazze da marito legano i nastri dei desideri sui rami bassi della pianta del nocchio. All’imbrunire, sulla bocca del tramonto, mentre il sole rosso come un fiore di melograno iniziava a declinare verso il mare e gli ultimi raggi di luce dorata brillavano tra gli alberi incendiando ogni bacca e ogni foglia, un pastore rientrava dalla transumanza e scendendo il sentiero del monte spingeva in avanti il suo gregge di pecore che rasentando precipizi e chine, saltellavano tra felci e muschio.
L’uomo, che aveva il fisico di chi è abituato a salire e scendere di continuo le montagne, incuriosito e affascinato senza far rumore avanza tra gli alberi fermandosi ai bordi di un gruppo di rocce colore della cenere che sembravano statue mostruose a forma di giganti e parevano abbozzate da un artista pazzo.
Sperando di vedere le fanciulle Driadi danzare assieme a Pan, rimane nascosto tra i mostri ruggenti e il fogliame di un macchione di cespugli di erica, rosmarino e corbezzolo. Non passa molto tempo che lentamente un immagine inizia a prendere forma: in principio è solo un luccichio confuso, un riflesso di luce poi i contorni emergono nel pallido sole del tramonto, finché tra papaveri, rose e gerani di macchia le sue pupille diafane vedono una visione così tanto bella e fantastica che per non cadere, con le grandi mani nodose si appoggia a forza al suo bastone di vincastro…
Bianca, stupenda, più candida dei cigni splendeva come una statua di marmo appena bagnata dalla pioggia.